Il cancro come una malattia genetica. Così cerco di vincere la resistenza dei tumori ai farmaci

 

L’idea di fare il ricercatore è qualcosa che mi porto dentro fin da bambino e che ha cominciato a prendere forma quando ho scelto l’università. Io fin da piccolo avevo una vocazione a cercare di capire le cose e a spiegarmi il perché. Un dono ricevuto da Dio, che in qualche modo mi ha indirizzato e che però andava fatto crescere. È così che sono diventato ricercatore.

Dopo molte tappe, in Italia e all’estero, oggi sono a Napoli, al Telethon Institute of Genetics and Medicine (TIGEM). Qui cerco di comprendere meglio il fenomeno della resistenza del cancro ai farmaci, vale a dire la capacità delle cellule tumorali di escogitare sempre nuovi sistemi e sfuggire così agli attacchi, anche sofisticatissimi, con cui noi cerchiamo di ucciderle. È soprattutto da questa capacità di resistenza che deriva la nostra incapacità di debellare completamente la malattia.

Il mio approccio allo studio di questo fenomeno parte da una considerazione: il cancro è prevalentemente una malattia che nasce nei geni e quindi, come altre malattie ereditarie, può dipendere da alterazioni a carico di specifici geni. Nel cancro queste alterazioni genetiche sono localizzate nelle cellule adulte e non in quelle germinali e il numero di geni alterati, coinvolti nel cancro, è molto più alto rispetto a quanto avviene in molte malattie ereditarie. Tuttavia, gli strumenti per lo studio della genomica che ci stanno consentendo di fare passi avanti enormi contro le malattie ereditarie possono rivelarsi molto utili per conoscere meglio i meccanismi di difesa del tumore.

Identificare punti deboli, vale a dire specifici bersagli molecolari, contro cui indirizzare nuovi farmaci da usare da soli o in combinazione con quelli già in uso è un obiettivo dei miei progetti di ricerca.

Un’altra caratteristica del mio lavoro è l’approccio traslazionale, finalizzato cioè a trasformare quanto più velocemente possibile le conoscenze derivanti dalla ricerca di base in applicazioni cliniche. Un approccio che ho acquisito soprattutto nella mia esperienza a Londra, all’Institute of Cancer Research.

Vi ho trascorso quattro anni fino a quando lo scorso anno, a causa di problemi di salute di mia moglie e per restituire serenità ai miei figli, abbiamo deciso di tornare in Italia.

Il ritorno non è stato semplice, dal momento che non avevo ancora un lavoro in Italia. Ma al TIGEM, il direttore scientifico Andrea Ballabio e la responsabile del laboratorio dove oggi lavoro – Brunella Franco –, hanno creduto in me. Poi è arrivata la borsa iCARE-2, co-finanziata da Fondazione AIRC e dall’Unione Europea.

Così oggi sono di nuovo a casa, cercando di mettere a frutto al meglio il dono che ho ricevuto.

  • Pietro Carotenuto

  • Università:

    TIGEM - Telethon Institute of Genetics and Medicine, Napoli

  • Articolo pubblicato il:

    14 febbraio 2020