Incrociare i dati per rendere più efficace lo screening per il cancro al seno

Una macchiolina sospetta nella mammografia. È troppo piccola per capirne la natura: probabilmente non è nulla di preoccupante, ma potrebbe essere anche un cancro al seno ed è perciò importante non solo diagnosticarlo, ma anche farlo prima possibile. Così arriva l’invito a sottoporsi a una biopsia per fugare ogni dubbio. Intanto, per la donna, sono settimane di ansia nell’attesa di una risposta definitiva.

È questo l’iter a cui vanno incontro molte donne nelle quali, durante lo screening per il cancro al seno, viene identificata una lesione troppo piccola per consentire di fare una diagnosi certa con la sola diagnostica per immagini. In questi casi la biopsia è una scelta obbligata, anche se spesso per fortuna il risultato è negativo.

In futuro forse riusciremo a evitare alle donne questo esame, se non nei casi in cui sia veramente necessario. Basterebbe, per esempio, disporre di uno o più marcatori rilevabili con un esame del sangue, da effettuare contestualmente alla mammografia e in grado di indicare se è effettivamente presente una neoplasia.

Sono questi marcatori che cercheremo di identificare nel progetto di ricerca sostenuto da AIRC.

Per farlo coinvolgeremo una parte delle donne che si sottoporranno alla mammografia all’Ospedale Policlinico San Martino di Genova il prossimo anno. Oltre al consueto esame mammografico, a quante accetteranno, sarà chiesto di effettuare un prelievo di sangue.

I campioni di sangue saranno poi sottoposti a sofisticate analisi per la ricerca di DNA tumorale, proteine e altre sostanze potenzialmente associate al tumore. Le mammografie, invece, saranno analizzate con strumenti di intelligenza artificiale in grado di identificare anche le più piccole anomalie in esse presenti.

L’idea alla base del progetto è che incrociando questa enorme messe di dati saremo in grado di focalizzare l’attenzione su alterazioni in grado di indicare precocemente la presenza di tumore.

Sarà un lavoro lungo che ci terrà impegnati per i prossimi 5 anni. Se riusciremo nel nostro intento potremo disporre di una strategia diagnostica semplice, in grado di far risparmiare esami invasivi non necessari, di ridurre il carico sul servizio sanitario e, forse, di anticipare ulteriormente la diagnosi del tumore del seno, consentendo trattamenti meno invasivi e maggiori probabilità di cura.

  • Gabriele Zoppoli

  • Università:

    Ospedale San Martino, Genova

  • Articolo pubblicato il:

    15 maggio 2019