Organi in miniatura per trovare nuove cure contro i tumori cerebrali

 

In cinque in una Panda per le strade di Trento, tra bambini, zainetti, borse del lavoro. La mia giornata – e quella di mia moglie, anche lei ricercatrice – il più delle volte comincia così.

Dopo aver lasciato i bambini a scuola si va in laboratorio, al Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento, che ci ha accolto, entrambi, dopo una lunga esperienza in Belgio, all’Université libre de Bruxelles.

Al CIBIO coordino un piccolo gruppo di ricercatori; studiamo alcuni tumori del cervello che colpiscono soprattutto i bambini, in particolare il medulloblastoma. Per questi studi utilizziamo i cosiddetti organoidi, ovvero piccoli modelli di cervello capaci di riprodurre almeno in parte l’organo e la sua malattia.

Nello studio sfruttiamo anche una tecnica (iPScche permette di indurre cellule staminali pluripotenti a maturare in cellule mature. La tecnica è valsa il Premio Nobel nel 2012 al giapponese Shinya Yamanaka. Con un semplice prelievo di sangue o una biopsia siamo in grado di estrarre un piccolo campione di cellule, in laboratorio le riprogrammiamo per farle ritornare a uno stadio staminale e quindi facciamo in modo che si sviluppino in un “abbozzo” di cervello.

Questo mini-organo non ha la complessità di un cervello reale: non ha miliardi di connessioni tra neuroni e per quel che ne sappiamo non riesce a pensare. Ha però le stesse popolazioni cellulari del donatore.

Dal cervello al tumore

La tecnologia è straordinaria, ma un altro passaggio è necessario perché sia utile nello studio del cancro: occorre far sì che in questi organi semplificati si sviluppi un tumore simile a quello che si osserva nei pazienti.

Il sostegno di AIRC alle nostre ricerche tramite un My First AIRC Grant (MFAG) è fondamentale, in special modo per individuare tra tutti i geni quelli che possono essere maggiormente responsabili della malattia.

I tumori, infatti, hanno tantissime alterazioni genetiche. Con le attuali tecnologie, individuarle non è difficile: il problema è capire quali di queste sono all’origine del tumore e quali invece sono una conseguenza. Solo conoscendo le prime possiamo sperare di combattere la malattia. Grazie alla disponibilità dei “mini-cervelli”, possiamo indurre specifiche mutazioni e capire quali di esse siano effettivamente causali. Grazie a queste informazioni sarà possibile cercare nuove strategie terapeutiche che colpiscano le alterazioni alla base del tumore.

Potrà trattarsi di farmaci già disponibili e usati per altri scopi, ma anche di molecole la cui utilità al momento è completamente sconosciuta. Grazie alla disponibilità di riproduzioni che simulano almeno in parte l’organo malato possiamo sperimentare in maniera automatizzata migliaia di sostanze: il nostro obiettivo è di testarne circa 10 mila nei prossimi 3-5 anni.

Non è un’impresa facile e richiederà probabilmente un grande sforzo economico, ma stiamo facendo di tutto per raggiungere questo obiettivo.

  • Luca Tiberi

  • Università:

    Università degli Studi di Trento - CIBIO, Trento

  • Articolo pubblicato il:

    11 novembre 2019