A Boston per cercare nuove cure contro la leucemia, ma con Firenze nel cuore

 

Tornare negli Stati Uniti è un desiderio che mi è rimasto da quando, durante il dottorato, ho trascorso un anno e mezzo all’University of Massachusetts Medical School a Worcester.

Ci sono riuscita lo scorso anno, grazie a una borsa di studio AIRC che mi consente di lavorare in uno dei laboratori più importanti al mondo nella ricerca sul cancro, quello di Pier Paolo Pandolfi al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston.

Mi occupo di leucemia mieloide acuta, in particolare di uno specifico sottotipo in cui sono presenti mutazioni a carico dei geni IDH1 o IDH2. Si tratta di un’anomalia che si riscontra complessivamente nel 20 per cento circa dei pazienti con leucemia mieloide acuta. Con il gruppo di ricerca di cui faccio parte stiamo approfondendo i meccanismi per cui questo tumore del sangue si sviluppa. In particolare stiamo verificando l’efficacia di farmaci che possano contrastare la resistenza delle cellule tumorali alle terapie attualmente in uso.

Il mio compito è capire se in campioni di cellule provenienti dal sangue dei pazienti vi siano particolari porzioni del genoma che possano avere un ruolo nella resistenza ai farmaci. Si tratta di porzioni di DNA che fino a qualche decennio fa erano considerate quasi inutili, poiché non contengono istruzioni per costruire proteine. Oggi sappiamo che quelle parti servono a fabbricare il cosiddetto RNA non codificante, che ha funzioni di regolazione e controllo.

Tra qualche mese si concluderà il periodo coperto dalla mia borsa di studio, ma conto di poter rimanere a Boston, in questo laboratorio, ancora per un po’.

Non più di tre anni, però, perché poi vorrei tornare a casa, a Firenze.
Stare qui è bello, è appagante dal punto di vista professionale, ma la mia vita è a Firenze: la famiglia, gli amici gli affetti più cari. È lì che spero di riuscire a continuare a fare il mio lavoro di ricercatrice in un futuro prossimo.

  • Giulia Cheloni

  • Università:

    Beth Israel Deaconess Medical Center, Harvard Medical School, Boston

  • Articolo pubblicato il:

    14 maggio 2018