A Cambridge per studiare le cellule che danno benzina alla leucemia mieloide acuta

 

Siamo abituati a pensare al cancro come a un’entità non solo estranea, ma anche isolata che aggredisce il nostro organismo. In realtà, più avanzano le nostre conoscenze sui tumori, più capiamo che le cellule tumorali sono entità “sociali” che interagiscono sia tra loro sia con le cellule sane che le circondano.

È il caso almeno delle cellule della leucemia mieloide acuta, la patologia di cui mi occupo alla Università di Cambridge in Gran Bretagna. La malattia è caratterizzata dalla proliferazione incontrollata di cellule immature nel midollo, i cosiddetti blasti leucemici.

La sfida più grande nel campo della ricerca delle leucemie è eradicare le cosiddette cellule staminali leucemiche. Si tratta delle cellule che presumibilmente danno origine alla malattia, le consentono di eludere la chemioterapia dando luogo a fenomeni di resistenza e sono inoltre responsabili dell’alto tasso di ricadute nei pazienti.

Negli ultimi anni si sta comprendendo che, a giocare un ruolo di primo piano in questi fenomeni, è proprio l’interazione delle cellule staminali leucemiche con le altre cellule presenti nel midollo osseo, il cosiddetto microambiente midollare. In questo contesto, esso contribuisce in maniera decisiva allo sviluppo della malattia e ai meccanismi di resistenza ai farmaci ed è inoltre decisivo nel processo che porta le cellule staminali a trasformarsi in cellule maligne.

Il mio lavoro è focalizzato proprio sullo studio di questi fenomeni di interazione tra cellule nella loro nicchia, o “santuario” midollare: cerco di comprendere il funzionamento delle cellule staminali leucemiche, i rapporti con le altre cellule del microambiente e come le cellule maligne traggano vantaggio da queste interazioni.

In particolare i cosiddetti progenitori mesenchimali, cellule staminali derivate dal midollo osseo, costituiscono una popolazione particolare, dato che sostengono la nicchia delle cellule staminali emopoietiche sia normali sia leucemiche. Il mio obiettivo è innanzitutto conoscere questa rete di relazioni che alimenta e protegge le cellule staminali leucemiche, al fine di mettere a punto strategie terapeutiche che interferiscano con queste vie di comunicazione o con gli “interlocutori”.

Si tratta di una sfida non semplice: infatti, il tumore è in grado di mettere in atto meccanismi compensatori attivando nuove vie di comunicazione e, in tal modo, rendendo vano l’attacco.

Soltanto conoscendo in profondità questi meccanismi si può sperare di eradicare completamente le cellule staminali leucemiche e il loro microambiente, che forniscono “benzina” alla malattia.

  • Dorian Forte

  • Università:

    Università di Cambridge, Cambridge

  • Articolo pubblicato il:

    8 ottobre 2018